Interviste e ricordi dei protagonisti

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Articolo tratto dalla rivista “Modena Motors”

Modena motors bModena motors cModena motors dCattura a1Cattura a2Cattura 1Cattura 2Maioli Giuliano a

Maioli Giuliano bCattura 1 Cattura 2 Cattura 3In questa sezione del sito, piloti e navigatori possono scrivere i ricordi della loro carriera agonistica, oppure parlare di una determinata gara, oppure degli scherzi terribili che si facevano ad amci ed avversari. Chiunque voglia mandare uno scritto può farlo inviandolo alla e-mail del sito: info@rallymodenareggio.it

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“Ragastas” , il pilota preparatore

Articolo tratto dalla rivista Rally Report 1986

 

Ha vinto il Trofeo Nord Italia ’85, ma tiene maggiormente a sottolineare che la sua 037 era auto-preparata. Questo perché vorrebbe che il suo futuro fosse proprio nel campo delle elaborazioni da rallies. Francesco Ferretti (quando corre però usa lo pseudonimo «Ragastas») ha messo in piedi il Team Bora proprio con questi propositi.
Si fa chiamare “Ragastas” (ragazzaccio, in emiliano), ma il suo vero nome è Francesco Ferretti. È salito prepotentemente alla ribalta vincendo il Trofeo Nord Italia 1985 con una Lancia 037, ma il suo vero futuro vorrebbe fosse nel campo delle preparazioni dove già si cimenta con ottimi risultati visto che la sua vettura auto-preparata ha prevalso su quelle del più blasonato Volta di Torino. Francesco è modesto, ma nello stesso tempo deciso ad intraprendere una professione legata al mondo del rallies, non necessariamente come pilota.
Ferretti, si aspettava l’ottimo risultato finale della stagione ’85? “In effetti un risultato simile non me l’aspettavo. Normalmente si guarda ai tempi di ogni singola gara ed è stato solo dopo il risultato di Modena che ho pensato di proseguire in una certa maniera, anche se non era, prima, nelle mie intenzioni, infatti ho praticamente saltato solo la gara su terra a Sassari per il resto le ho fatte tutte”. Ci sono stati del cambiamenti nella preparazione della macchina rispetto alle stagioni precedenti?
“Ecco, a questo proposito vorrei dire una cosa, spesso quando vado alle corse, molti colleghi, mi chiedono: Ma chi ti prepara la macchina? Volta?”. Nessuno sa che da un paio d’anni, dal 1982 praticamente, l’elaborazione delle nostre macchine, cioè quelle del Team Bora, le facciamo noi personalmente. Infatti io ho un ‘officina che si chiama Bora, come il vento che ha dato il nome alla scuderia (veloci come la Bora…).
Il team è nato dalla scissione della Scuderia Tricolore nel 1981, più che altro perché ci eravamo accorti che dovevamo evolverci, anche nei rally cominciavano ad arrivare gli sponsors e la scuderia doveva essere un ente robusto. In grado di fatturare pubblicità agli sponsors”. La Tricolore a quel tempo non aveva ancora recepito questo discorso. Le macchine ci hanno dato parecchie soddisfazioni, stiamo raccogliendo i frutti di un paio d’anni di lavoro. Noi facciamo sia i cambi che i motori e non ci appoggiamo all’Abarth. Abbiamo rielaborato anche la vettura di “John–John” e di Claudio Giovanardi: mi dispiace che pochi sappiano che queste macchine le prepariamo noi, anche perché se cominciasse ad arrivare qualche cliente in più…”. E i risultati? “Quest’anno i campionati ci hanno dato ragione, io non voglio fare concorrenza a Volta, però i risultati li abbiamo ottenuti soprattutto perché le macchine non si fermavano mai. Non so se gioire di più come pilota o come preparatore, però forse sapere che gioco ambedue 1 ruoli mi fa essere più sicuro come pilota”. Lei si ritiene allora più pilota o più tecnico? “Senz’ altro più tecnico. Potrei benissimo rinunciare al ruolo di pilota, ma non a quello di preparatore, anzi, la mia massima aspirazione per il futuro è proprio quella di fare questa attività tecnica a tempo pieno… sempre se arriveranno i clienti…».  I programmi per la stagione ’86? “Avremo sicuramente Giovanardi e “John-John” che faranno il Trofeo Italia Nord con le 037. A me sinceramente piacerebbe tentare qualche corsa e livello europeo come la Targa Florio e poi qualche gara all’estero, sopratutto per i miei sponsor Nike Italia e Clarion, però solo su asfalto perché la terra non l’ho proprio digerita. Inoltre dovremmo avere ancora con noi Bandierini che quest’anno ha ottenuto degli ottimi risultati con l’Opel Manta e 1 fratelli Munari con la Ritmo. D’ora in avanti vorremmo comunque specializzarci in modelli Lancia e Abarth”. Ma l’organizzazione resta artigianale? “Abbiamo anche intenzione di diventare professionisti a tutti gli effetti: anche le assistenze che ora ci facciamo a vicenda (quando corro io mi fa assistenza «John-John» e viceversa) dovranno essere meno casalinghe”. È stato difficile trovare gli sponsors? “Neanche tanto, é stato difficile avvicinarli, ma poi sono rimasti favorevolmente colpiti. Hanno cominciato con cautela, ma ora ci stanno dando fiducia ed anche questo é un motivo in più di soddisfazione”. Quando ha iniziato a correre? “Tanto tempo fa, nel 1968 con una Fiat 850 Coupé nei minirallies, allora si chiamavano così, tutti su terra, poi sono passato alle corse in salita dove ho corso anche con le Dallara ed inoltre ho fatto anche pista. Poi improvvisamente, nel ’79, c’é stato il colpo di fulmine per i rallies. forse anche perché le corse in salita delle vetture sport erano un po’ scadute.
il pubblico le seguiva poco, gli sponsors non si trovavano, invece i rallies erano in pieno sviluppo ed abbiamo capito che la strada era quella”. Ma anche la situazione del rallies non è più florida come un tempo… “Direi che se sono un po’ scaduti la colpa é di chi ci “comanda”. In effetti per me hanno fatto delle scelte sbagliate per quanto riguarda i campionati, perché se anche gli addetti al lavori fanno fatica ad avere le idee chiare, figuriamoci il pubblico che cosi perde entusiasmo non riuscendo ad identificare nella selva dei regolamenti quali sono i personaggi di rilievo. Invece qualche anno fa, quando c’erano i rallies di prima serie con le semifinali e le finali, gli appassionati, specialmente nella seconda parte della stagione, potevano vedere veramente dalle corse interessanti, e poi era chiaro chi vinceva e chi no”.
Però qualche difetto c’era… ”Prima forse c’era il fatto che tre finali erano poche e che per vincerle si preparavano quasi delle formula uno anziché delle macchine da rallies, però se si facesse una cosa tipo pallacanestro, cioè nella prima parte dell’anno ci si qualifica e nella seconda parte si fa il campionato vero e proprio, a mio parere molti sarebbero più soddisfatti”.

 

INDIETRO NON SI TORNA …

Egizii-Bogani al Rally di Modena 1981

Articolo tratto dal sito www.gpx.it

E’ il nostro debutto sulla Ford Escort RS2000 Gr.1, macchina che in versione kit Cosworth aveva circa 160 cv e che era la vettura più competitiva nella classe 1/5 (da 1600 cc a 2000 cc). Le avversarie più pericolose erano le Opel Kadett e le Ascona, che erano forse un pelino migliori come assetto, ma lasciavano sul campo una decina di cv e soprattutto non avevano i dischi freno auto ventilanti, che nelle prove in discesa erano davvero un bel gadget. D’altra parte nel Campionato Internazionale Rally, imperversava Bentivogli e prima di lui Presotto con la stessa macchina, ufficiale Ford. L’avevamo acquistata da Boretti, futuro Campione Italiano con la Lancia Rally nel 1983, ed era veramente una bella macchina, molto curata e competitiva. Con la Simca ed i suoi 80 cv dopo due gare ci eravamo resi conto di non trovare quelle scariche di adrenalina che ci erano necessarie e così decidemmo il passaggio di classe. Inoltre le prime due gare fatte erano Rally di Seconda Serie, mentre questo era un Prima Serie con oltre 100 km di prove speciali, di cui una buona parte in discesa.
Un bel salto doppio carpiato, non nel vuoto per fortuna, ma comunque abbastanza impegnativo, come vedremo nel seguito.
Come prima cosa, da perfetto incosciente e dando per scontato che la macchina dovesse essere prima bella e poi competitiva, mi misi al lavoro sulla grafica: la macchina era blu scura e questo rendeva più difficile intervenire sui cromatismi. Dopo vari studi su bozzetti scelsi la grafica allora utilizzata dall’Audi sulla Quattro con una scalatura di colori dall’arancio al bordeaux. Ancora non sapevo a cosa si andava incontro….
Per prendere le note avevamo a disposizione una Lancia Delta 1300 di serie utilizzata fino ad’allora dalla Sig.ra Miranda per andare a fare la spesa, un’altra bella minchiata e se sommi tante piccole minchiate produci una grande cazzata.
Tutto ok alle verifiche sportive e tecniche, tutto a posto con l’organizzazione dell’assistenza e qui devo dire che ero già abbastanza meticoloso e attento, pur essendo soltanto alla terza gara in carriera. Al solito ero molto tranquillo prima della partenza. Gli avversari come sempre erano facilmente individuabili in base al loro curriculum, ma a noi interessava poco, eravamo lì solo per imparare…..
Finalmente si parte, in trasferimento controllo mille volte che sia tutto ok, radar, tripmaster, note, cb e mi tocco una decina di volta i gioielli personali ogni qualvolta mi viene in mente un pensiero nefasto come un albero secolare che entra in macchina di lato oppure un bel salto olimpionico in un burrone con atterraggio quantomeno incerto. Ma purtroppo alla partenza della prima prova ci attende un’ insana sorpresa: il Commissario non ci fa partire, si affaccia al finestrino chiuso e chiede di aprirlo, dicendo che con il pilota senza i guanti ignifughi non possiamo entrare in prova. Accidenti!… Intanto, sadicamente, ci fa vedere che è partito il cronometro. Inizia la ricerca dei guanti che per fortuna, o forse grazie alle varie bestemmie lanciate con continuità, saltano fuori rapidamente. Si parte con un handicap di 18 interminabili secondi. Ecco quindi un’ ulteriore minchiata. La prova la facemmo molto male, soprattutto considerando che era di rodaggio, ma anche perché c’era uno sporco pazzesco, in certe curve mi ricordo sembrava di essere sulla terra da quanta ghiaia di riporto c’era. Alla seconda prova ci convincemmo che oramai la classifica era compromessa e si decise di andare a fare una girata esplorativa. Altra convinzione errata. Mai pensare di contenere le prestazioni senza sapere quali sono le possibili prestazioni. Meglio vivere alla giornata e semplicemente non rischiare niente. Fu così che alla terza prova il cronometrista quasi strabuzza gli occhi quando vede il nostro tempo: terzi di classe! Ed al solito tra gli ultimi a partire non ci sono quelli notoriamente più veloci della classe… Noi pensando di avere fatto una girata ci chiedemmo: ma sono fermi questi o siamo noi delle bestie? Ovviamente si scelse la seconda opzione, anche se erano sbagliate tutte e due, dato che quella giusta era semplicemente che eravamo delle minchie.
Quarta prova: siamo gasati a mille, era la prova più facile e tutta in salita. Siamo già nella fase in cui o si fa il tempo o si muore. Minchiata massima data la nostra esperienza.
In macchina non mi accorsi di nulla, ma dopo nel tempo, correndo tante gare, ho capito che forte in quel modo non siamo quasi mai più andati. Si saliva come un aereo, con uscite di traverso pulite e redditizie, la macchina non s’ impuntava mai, insomma uno spettacolo. Quando mancavano due pagine di note alla fine della P.S. leggo testuale: “D2+ 30 in curvone S3-“ Dalla destra usciamo come una saetta in seconda piena, poi subito la terza, una pelatina al gas sui 30 metri e via dentro la sinistra. E’ un attimo: la macchina va via davanti di brutto, sale sul terrapieno all’esterno e letteralmente decolla mentre si capovolge in aria. Poi riatterriamo sul tetto con un botto pazzesco e vedo nella notte una serie di traccianti dovuti alla strisciata del tetto sull’asfalto. Nel frattempo mi rannicchio al massimo e credo che occupai meno posto di un neonato. Finalmente, dopo un tempo interminabile ci fermiamo, purtroppo sul fianco destro, dalla mia parte, e così non posso scendere.
Vedo intorno a me i piedi dei vari spettatori e commissari presenti che stanno iniziando a spingere per rimettere sulle quattro ruote la macchina, quando ad un tratto sento gridare “Prende fuoco!” ed all’istante i piedi scompaiono. Furono attimi di puro terrore, durante i quali pensai che non poteva succedere proprio a me una cosa simile. L’unico scampo era passare dal parabrezza, così sollevo le gambe e prendo forza per sfondarlo a calci, quando mi accorgo che sta entrando in macchina un sacco di polvere proprio da lì, ecapisco che non c’è più il parabrezza, saltato dopo l’atterraggio dal volo carpiato. Sto per sganciarmi le cinture ed uscire carponi (anche Orazio nel frattempo si stava sganciando le cinture con il rischio di precipitarmi addosso) quando riappaiono i piedi ed uno ci grida concitato “Occhio che la giriamo!” E non mi ricordo come, mi ritrovo in un attimo fuori dalla macchina, come spinto da una molla invisibile.
Il Commissario ci portò in un luogo sicuro e ci chiese come stavamo, così vidi che all’interno della curva incriminata c’era una Porsche Carrera verde, molto danneggiata, senza il vetro davanti. Si era cappottato anche lui come noi. Comunque il Commissario pensando di fare cosa gradita ci disse che forte come noi dalla destra non era uscito nessuno……
Per riportare alla base la macchina dovemmo aspettare la fine del secondo passaggio sulla stessa prova e così esaminammo la situazione con calma. Mi ricordo che eravamo seduti su un masso a bordo strada. La botta era stata veramente grossa, i rischi di farsi male concreti, quindi la prima cosa da chiarire era sul da farsi: smettere o continuare? E lì dopo una serie di dubbi decidemmo che non era “cosa” tirarsi indietro al primo incidente serio. Era pur vero che avevamo fatto il passo più lungo della gamba (come ad esempio prendere le note con una Delta da 65 cv e correre con una macchina da 160 cv per la prima volta che è stata una ingenuità gigantesca e che poteva costarci cara, molto cara, visto che il curvone S3- era in realtà una sinistra 2 lunga), ma l’Uomo si misura nelle difficoltà e come più volte ho già detto “indietro non si torna”, ma si cammina in un altro modo.

Egizii-Bogani Mo81

 

GLI STORICI DUELLI TRA MAIOLI E “RAGASTAS”

(Articolo tratto da “Il Resto del Carlino”)

Reggio Emilia, 23 giugno 2011
“Il vero Rally siamo noi”, ovvero gli storici duelli tra Maioli e Ragastas.

 

Quando la notte bianca era solo quella del rally dell’Appennino, un evento atteso tutto l’anno, capace di calamitare sulle strade decine di migliaia di persone, di pianura e di montagna, questo accadeva soprattutto per due motivi. Che sono poi due nomi: quelli di Francesco Ferretti, meglio noto come Ragastas, e Giuliano Maioli (citati in rigoroso ordine alfabetico).
Se il rally dell’Appennino ha vissuto anni di gloria, lo deve a questi due piloti, senz’altro tra i migliori di sempre partoriti dalla nostra terra; le loro imprese, negli anni ’80, hanno ben presto generato una rally-mania che poi è andata progressivamente spegnendosi, dopo il ritiro di questi due campioni. Quel che non si è perso è il ricordo di quegli anni: un ricordo che ora il Carlino rilancia, dando la parola proprio ai due piloti. Non si vedevano da parecchi anni, Ragastas e Maioli: li abbiamo fatti incontrare noi. E i due non si sono fatti pregare: ecco il loro amarcord in presa diretta.
Ieri & Oggi I rally degli anni ’80: affascinanti e terribilmente diversi da quelli attuali. «Le macchine erano speciali, spettacolari – attacca Ferretti – vere auto da corsa, diverse da quelle che la gente si vedeva passare davanti a casa tutti i giorni. Oggi è il festival delle tecnologia applicato a macchine dall’apparenza molto, troppo simile alle auto normali». Gli fa eco Maioli: «Esatto, in più bisogna dire che la televisione ha tolto fascino e curiosità. In passato la gente voleva ‘toccare con mano’ macchine come la Lancia Stratos – la prima, vera macchina da rally – o la Lancia 037, mentre oggi si sa già tutto di tutto; le riprese dall’abitacolo hanno tolto anche quel po’ di ‘mistero’ che sopravviveva. Poi oggi non si corre più di notte e manca il contatto diretto tra pubblico e piloti. Infine, certo, da noi mancano i dualismi: dopo di noi non c’è più stato un locale in grado di puntare alla vittoria e questo ha sottratto parecchio pubblico al nostro rally». «Già – sorride Ragastas – ora non capita di arrivare al via di una prova e sentirti dire ‘stai attento, c’è tantissima gente sulla strada’: allora, mi veniva da rispondere ‘ditelo a Maioli di stare attento, io devo pensare a stare davanti…».
Ragastas vs Maioli Ecco, la bagarre è iniziata: Maioli contro Ragastas, il Team Lupo contro il Team Bora, la montagna contro la pianura: il leit motiv di quei giorni sta tutto in questo dualismo. «In realtà – precisa Francesco – a livello personale non c’è mai stato problema. Rivalità sì, ma i rapporti sono sempre stati buoni. Poi la gente volle creare la divisione tra pianura e montagna, ma era qualcosa che non ci riguardava: penso che sia stata più una rivalità tra i team». «Sono d’accordo – conferma Giuliano – tra l’altro io ho iniziato con il Team Bora, con il quale mi trovai benissimo e raccolsi i primi risultati; furono proprio questi a creare in Montagna grande entusiasmo e voglia di confrontarsi con chi già correva, e il Team Lupo ne fu l’espressione. Da qui si alimentò una competizione che riguardò i nostri tifosi e i team, molto più che noi».
Gare indimenticabili
Il periodo dal 1980 – anno in cui il rally dell’Appennino venne riproposto, dopo dieci anni di pausa – al 1987 verrà ricordato come quello più appassionante. Da tutti, figuriamoci dai due diretti interessati. Partiamo con Ragastas, vincitore proprio nel 1980: «E’ l’edizione che ricordo con più emozione, perché fu una vittoria inattesa; non pensavo di poter battere Franco Leoni. Fu un gran successo».
Giuliano Maioli sorride pensando al 1983: «Persi la gara proprio contro Leoni perché il mio navigatore commise un errore timbrando in ritardo al controllo orario e questo mi fece perdere il primato e la possibilità di giocarmi la vittoria. Ma era la prima volta che lottavo per un successo assoluto e fu come toccare il cielo con un dito».
Ma le due edizioni passate alla storia sono quelle del 1985 e del 1987. Per motivi diversi. La prima fu quella dei veleni e delle polemiche, con la macchina di Giovanardi (schierata dal Team Bora) attardata per un incidente causato da una pietra lasciata in piena traiettoria e Maioli squalificato a fine gara per un’irregolarità. «Giovanardi colpì una pietra – ricorda Ragastas – che fu messa lì da qualcuno. So per certo che non erano persone del Team Lupo, comunque. Poi Giuliano venne squalificato di sicuro in conseguenza della pietra…». «Io non so come sia finita lì quella pietra – ribatte Maioli –; quanto alla squalifica, la verità è che le portiere della mia Porsche dovevano essere in alluminio, ma costavano una follia, così ne utilizzammo un paio che avevano all’interno il metallo. Per intenderci, la nostra irregolarità ci costringeva a correre con un peso maggiore, per cui non pensavamo che qualcuno avrebbe mai fatto reclamo. Ma Giovanardi si sentì defraudato del successo per via dell’incidente e sporse reclamo: tecnicamente ci stava, sportivamente non fu molto bello. Mi sentii scippato di una vittoria che penso di aver meritato».
Una vittoria che arrivò l’anno dopo e fu bissata dal trionfo del 1987: l’anno del grande duello diretto fra Ragastas e Maioli. Riviviamolo: «Io feci una regolazione che rese lo sterzo troppo duro – spiega Ragastas – per cui persi subito quel mezzo minuto che mi fu fatale. Nelle prove seguenti rimontai con veemenza, ma Giuliano rimase davanti per pochi secondi. Fu un duello stupendo, ci siamo spartiti le prove speciali. E’ stata la mia gara migliore, perché ho veramente dato il massimo in ogni istante».
«Io tiravo come un matto – esclama Maioli – ero impiccato, in difficoltà con le gomme e con il navigatore che stava male (a Villaberza staccai l’interfono e feci la prova senza note). Ricordo che sulla prova di Lago Macina Francesco mi ha rifilato un distacco di 10/11 secondi, un’enormità. Fu uno schiaffone che non mi è ancora andato giù, nonostante abbia vinto la gara».

 

MASSIMO LUGLI – ENRICO SANTINI

(testo tratto dal libro “Piloti e dintorni volume 1” di Norberto Rasenti)

Sicuramente uno degli equipaggi più affiatati del rallismo modenese è quello composto da Massimo Lugli e dall’amico Enrico Santini che erano addirittura in classe insieme sin dalla prima elementare. All’età della prima media si divertivano a bordo di una Fiat 500, regalata dal nonno di Massimo. Alle superiori i due amici sono ancora a scuola insieme e negli ultimi due anni vengono ‘rapiti’ dagli aneddoti del professore Vicini, l’insegnante di tecnologia, che mostra loro le fotografie delle gare disputate con la moglie. Presa la patente, troviamo Massimo ed Enrico a bordo di una A 112 58 Hp a scorazzare per la strada delle Salse di Nirano. Maturato l’anno di patente canonico per la concessione della licenza, iniziano a correre disputando dei rally di seconda serie. La vettura è sempre la stessa A112 gruppo 1 allestita con l’aiuto degli operai dell’azienda del nonno, che, grazie a paracoppa, roll bar e rinforzi vari, non corre certamente il rischio di essere sotto peso di fiche! Raccontano: “Nei seconda serie non era obbligatoria la tuta e noi abbiamo disputato quelle prime gare in jeans, camicia, cravatta e gilè con sopra il nostro nome”. Nell’aprile del 1981 li troviamo al via del 10° Rally Città di Modena. Iniziano le ‘danze’ in modo deciso staccando un 20° assoluto e vincendo la classe nella prima P.S. di Valle; nel successivo passaggio sulla stessa prova staccano il 19° assoluto. Più tardi viene registrato il loro ritiro alla P.S. L di Vitriola, quando sono in testa alla classe 1.1. Nella prima gara di notte, si chiedono come avrebbero fatto a stare svegli; risolve il loro problema ‘Palumbo’. Lui si porta sempre un thermos di caffè e ne offre ai nostri ragazzi. Massimo non aveva mai bevuto caffè, ma per stare sul sicuro ne beve tre bicchieri e di conseguenza non riuscirà a dormire per i successivi due giorni! La passione messa nella preparazione ‘in cantina’ della A 112 non fu sufficiente per renderla anche affidabile, tant’è che spesso erano appiedati da rotture meccaniche. Disputano cosi l’ultima gara con il piccolo gruppo 1, il 5° Rally di Radicofani, per poi passare nello stesso mese di maggio alla Fiat Ritmo 75 gr. 2. Cambia la vettura ma le vicissitudini rimangono; tengono compagnia al nostro equipaggio problemi al cambio prima, alla frizione poi, più altri diversi contrattempi. Con la Ritmo prendono il via al 5° Rally dell’Appennino Reggiano che concludono anticipatamente alla penultima P.S.. “Ogni prova si rompeva una marcia, sino a che alla fine era rimasta solo la quinta che si ruppe nel trasferimento all’ultima P.S.. Fu una delusione incredibile”. La gara successiva è il Rally di Puglia e Lucania che si rivela un’autentica avventura. In quella trasferta usano il camion dell’azienda sul quale avevano caricato la vettura da corsa, dopo aver inchiodato sul cassone la tenda canadese. Giunti a destinazione, lasciano il camion in un campeggio e vanno a provare. Ma non è tutto qui. Il giorno delle verifiche Massimo deve tornare a Modena per un esame all’università, così Enrico con un amico si presenta alle verifiche cercando di non far scoprire l’assenza del pilota. Nel frattempo Massimo passa l’esame e torna ‘giù’ di corsa per la partenza, disputano la gara e si apprestano al rientro. I nostri ragazzi tornano a casa sul camion, la stanchezza si fa sentire; Massimo al posto di guida può ancora una volta contare sul sostegno di Enrico, il quale vigile e attento aiuta il non più lucidissimo driver. Il vero divertimento inizia in occasione del Rally di Roccaraso, quando, aggregandosi alla ‘pattuglia’ dei modenesi: Giovanardi, Rabino, Rayneri, Moscato, etc., ne combineranno di tutti i colori. Ricordano: “Andavamo a fare delle gare dove stavamo via una settimana e occupavamo interi piani di alberghi, ci divertivamo come dei pazzi”. Li ritroviamo quindi con l’allegra compagnia a disputare la finale CIR a Messina, conclusa anticipatamente per rottura del cambio. Aprile 1982, Lugli-Santini sono al via del Rally di Modena ancora con la Ritmo 75 con la quale vincono la classe 2.4 e si classificano decimi assoluti. Segue il Rally dell’Elba che Massimo disputa con Lorenzi, a causa di un malessere di Enrico, dopo che, ironia della sorte, lo avevano già provato tutto insieme. Segue il Rally 4 Regioni e poi il Rally del Ciocco dove sono protagonisti di un’altra gara movimentata: ‘fatta fuori’ la frizione, rimediano impastandola con Vim e Coca Cola. Ad un certo punto, durante una delle tante ‘applicazioni’ prende fuoco tutto, Ivaldo Barbolini si ustiona le mani. Riescono a spegnere l’incendio e a ripartire. Concludono la gara e all’arrivo Ivaldo è ad attenderli con le mani fasciate. Aggiunge Massimo: “E’ pazzesco, a volte arrivi in fondo in condizioni incredibili; altre volte sei primo, va tutto bene, non fai errori e ti devi fermare per una sciocchezza”. A settembre il debutto con la Lancia Stratos gr. 4 della Grifone, con la quale disputano il Rally di Piancavallo: “E’ stato bellissimo! L’unico problema era la gente, una marea umana che per vederti si mette in mezzo alla strada. La prima speciale su terra abbiamo preso una ‘vita’, non sapevamo come fare con tutte quelle persone. Al successivo C.O. andiamo da Biasion e da Tognana e chiediamo loro come si fa a correre in mezzo a tutta quella gente. Biasion ci risponde: “…Vecio, tieni giù e non ti preoccupare, quando arrivi la gente si sposta”… Quindi ci siamo trovati a correre sulla terra a 150 chilometri all’ora, una siepe umana ai lati della strada e davanti la gente che si spostava pochi metri prima del nostro arrivo. Nella prima tappa partiamo quarantesimi, nella seconda tappa quinti davanti a Tabaton, che il giorno prima aveva avuto dei problemi. Avevamo una paura incredibile che ci raggiungesse. E’ stata una gara entusiasmante, siamo riusciti a vincere anche una speciale”. L’avventura successiva è al 100.000 Trabucchi, dove passano due notti sotto la pioggia e in una nebbia fittissima, utilizzano il tripmaster per controllare la lunghezza degli allunghi e stabilire quando staccare considerata la nebbia che riduceva drasticamente la visibilità. Sotto il seggiolino di Enrico, nel pianale, c’era un buco dal quale entrava acqua in abbondanza. La seconda notte si ‘appropriano indebitamente’ degli asciugamani dell’albergo e di due rotoloni di Scottex per preparare dei ‘pannoloni’ per Enrico che ricorda: “Praticamente alla fine di ogni P.S. venivano a cambiarmi il pannolone”. Ad un certo punto il navigatore non resiste più, scende dalla Stratos e si accomoda sui sedili posteriori ‘asciutti’ della vettura di Bentivogli che gli da un passaggio sino alla P.S, successiva, con Massimo dietro attento a non ‘perdere’ il suo navigatore. Concludono la gara in ottima posizione assoluta e secondi dei privati. Alla gara successiva, il Rally di San Marino, nasce la leggenda del ‘Pilota Palombaro’. Massimo ce la racconta: “In una curva usciamo e la macchina rimane in bilico sul ciglio della strada. Scendo dalla vettura e corro per spingere la macchina. Non mi accorgo che siamo sul bordo di un fiume e vi scivolo dentro. Ho dovuto nuotare per venirne fuori e non annegarmi, dopodiché siamo stati ospitati fino alla mattina nella casa di un contadino lì vicino. Mi sono dovuto togliere tutti gli indumenti per metterli ad asciugare, avevo ‘steso’ anche la patente inzuppata. Da lì una rivista specializzata intitola un servizio: ‘Lugli pilota palombaro'”. Nell’anno 1983 gli impegni universitari limitano notevolmente il programma delle gare. Avendo acquisito la priorità, è prevista la partenza al Rally di Modena con il numero 1. Ma Lugli non potrà prendere il via al rally di casa a causa di un incidente, che lo vede infortunato, durante la prova della vettura da gara sulla quale era passeggero. ‘Riparato’ il pilota e la Kadett GTE gr. A, l’equipaggio Lugli-Santini prende il via al 7° Appennino Reggiano. Concludono la gara quinti assoluti. Nell’anno 1984 il nostro equipaggio partecipa al Trofeo Opel con la Corsa gr. N. La prima partecipazione della stagione è proprio al 1° Rally dell’Emilia che li vede concludere vincitori di classe N3, quarti di gr. N e diciottesimi assoluti sui 150 partenti, dimostrando di gradire particolarmente la P.S. di San Martino nella quale staccano in due passaggi un 10° e un 6° tempo assoluto. In quell’anno disputano altre cinque gare, concludendo la stagione vincitori di zona del trofeo. Nel 1985 inizia l’avventura Lancia Rally 037. La prima della stagione è il 2° Rally Intemazionale dell’Emilia; diciotto le vetture classe ‘B4′ alla partenza. Dalla prima P.S., Frassineti, Lugli-Santini mettono in chiaro quelle che sono le loro intenzioni: miglior tempo assoluto. Gara superba sino alla P.S. O di Montemolino, dove sono costretti al ritiro per rottura della cinghia dell’alternatore. Sino a quel momento erano al comando della gara. Segue la partecipazione al Rally dell’Elba, di cui Enrico ha un ricordo particolare: “Eravamo a provare e ad un certo punto la prova passava tra una casa e un fienile; nelle note mi ero segnato di rallentare perché c’era della gente. Poi torniamo a passare e c’era tutta la gente alla finestra e fuori con le sedie: ci hanno fischiato perché siamo passati piano. Il giro dopo abbiamo recuperato la loro stima!”. Disputano poi l’Appennino Bolognese e il Piancavallo. E’ in quest’ultima gara che sono prò- tagonisti dell’incidente più brutto della loro carriera che Massimo rivive con la memoria: “Eravamo primi assoluti quando in un allungo velocissimo tra due muretti, alla staccata, molto impegnativa, scoppia un tubo dei freni e il pedale del freno va in fondo senza che la vettura dia segno di rallentamento. Eravamo rimasti con solo i freni dietro, ho cercato di impostare la curva con il freno a mano, ma era una staccata da 200 all’ora, la macchina si è messa a girare come una trottola ed è volato via tutto. Una cosa incredibile, il quaderno delle note è volato fuori dalla finestrina della 037 e lo abbiamo ritrovato più tardi aperto su un arbusto, neanche un foglio strappato. Invece l’auto distrutta, il motore staccato, gli ammortizzatori strappati via, gli ingranaggi dei cambio in mezzo alla strada. E’ stato impressionante: quando siamo scesi dalla macchina e ci siamo guardati intorno, della macchina era rimasto solo l’abitacolo!”.
11 1986 riserva al nostro equipaggio maggior soddisfazione. Dopo aver disputato il Rally di Tirrenia, si ripresentano al Rally dell’Emilia, dove si contendono con altre 20 auto classe ‘B4’ la vittoria assoluta, vincono 4 P.S. e concludono la gara secondi assoluti. Un ricordo amaro di quella gara: “Era il rally di casa, l’obiettivo era la vittoria. Anche il secondo posto è stato soddisfacente, ma all’arrivo non ci hanno neanche lasciato la soddisfazione di stappare lo spumante perché avevano fretta, ci hanno dato la bottiglia in macchina invitandoci a scendere velocemente dal palco; ci siamo rimasti malissimo, dopo una nottataccia tra neve e nebbia, fateci almeno stappare la bottiglia!”. La stapparono al pomeriggio nel cortile di casa.
Ma l’evento dell’anno è la partecipazione al Memorial Bettega al Motor Show, dove Massimo Lugli, tra gli ‘sfidanti’ dei campioni, arriva secondo dietro al campione europeo Snjiers. Nel 1986 Massimo era già anima e corpo in azienda ed Enrico stava per laurearsi; succedeva che si trovavano nell’abitacolo della macchina, mentre provavano, a parlare di altro. Si rendono conto che stava diventando pericoloso correre senza l’attenzione e la concentrazione dovuta, sino a che, mentre erano a provare il Rally della Lanterna: “Stavamo provando un tratto a ridosso di un monte con la Fiat 131 Diesel familiare che usavamo di solito, quando decidiamo di fermarci per la cena. Siamo a tavola e la televisione da la notizia della morte di Toivonen e Cresto. Ci guardiamo in faccia e decidiamo di terminare la cena, poi di voltare la macchina e tornare a casa; e così abbiamo deciso di smettere di correre”. Mentre si avviano per il rientro incrociano Giovanardi che provava e, quando lo informano della decisione presa, rimane sbigottito. Era già tutto pronto, avevano praticamente terminato di provare e l’indomani sarebbe arrivato Ismo (Sabattini) con la vettura per le verifiche; niente da fare: Lugli e Santini avevano deciso. Conclude Massimo: “Ogni cosa ha il suo momento, in quel momento mi sono sentito che era ora di smettere. Stiamo pensando che quando avremo 40 anni ci faremo un regalo, torneremo a fare una gara, insieme”. Oggi comunque è rimasto un bellissimo ricordo per l’equipaggio Massimo Lugli ed Enrico Santini: “7 anni di gare con 6 vetture diverse per 32 corse disputate…un’esperienza indimenticabile!”.

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Foto tratta dal libro “Piloti e dintorni volume 1” di Norberto Rasenti.

 

FABIO MOSCATO

Non aveva ancora la maggiore età, quando un amico che gli faceva vedere foto di auto da corsa e gli parlava delle gare accese la sua passione. Essa aumentò ulteriormente quando, presa la patente, iniziò ad andare a vedere i rallies. Maturato l’anno di patente necessario per la licenza, imbroglia i genitori (per il timore di essere ostacolato) dicendo loro che va a fare assistenza ai suoi amici, e inizia a correre con l’amico di infanzia Claudio Corradi. La prima vettura è una Lancia Fulvia Montecarlo 1.3 gr. 3 (acquistata al prezzo di lire 2.760.000), la prima gara è un minirally a Vallechiara in Toscana, è l’anno 1976. La prima esperienza fu incredibile. L’allestimento dell’auto nel cortile di casa di Claudio, l’utilizzo dei pneumatici lisci scartati dagli amici e l’interfono ricavato da una radio dal peso di una decina di kg. sono alcuni degli ingredienti che hanno reso indimenticabile quell’esperienza. Alla partenza la maggior parte degli altri concorrenti erano equipaggiati con tute e guanti ed avevano le auto coperte dagli adesivi dei numerosi rallies ai quali avevano partecipato, e loro con i jeans sporchi e con fare sprovveduto si sentivano dei “pollastri” in mezzo a quella bolgia di “piloti”. In ogni caso la preoccupazione maggiore era quella di non danneggiare l’auto, non potendo giustificare ai genitori un incidente capitato durante ‘l’assistenza agli amici’. Nonostante tutti i buoni propositi lo start P.S. vede Fabio partire a tutto gas e “fortunatamente”, dice lui, dopo la seconda speciale si rompe il radiatore, evitando così la possibilità di qualche evento più catastrofico. I tempi delle due speciali percorse vedono l’equipaggio Moscato – Corradi rispettivamente 2° e 1° di gruppo. Non ci voleva altro! Considerando anche che erano in classe con i 1.6, immaginate l’entusiasmo dei due ragazzi. Tolti i numeri e lavata l’auto se ne tornano a casa come se niente fosse o quasi, tant’è che già iniziano ad organizzarsi per la gara successiva con la complicità dell’amico Paolo Cappelli.
La gara successiva è a Padova dove un 3° di gruppo li convince sempre più a continuare; è qui che Fabio, non riuscendo a trattenere l’entusiasmo, rende partecipe la mamma dell’avventura vissuta, pur cercando di tranquillizzarla in merito alle velocità di percorrenza delle gare (il regolamento prevede una media di 50 km orari, ricordo bene?), e trova in lei un’altra ‘complice’. Un bel giorno papà Moscato, ancora all’oscuro dei programmi di Fabio, va a cercarlo, a Pavia, dove si svolgeva appunto un rally (sarà stato un caso?) e, anziché trovarlo su un furgone a fare assistenza, lo vede sulla macchina allestita da corsa alla partenza. “Subito non disse nulla”, ricorda Fabio, ma poi si espresse: “Se lo fai fallo bene!” (intendendo di farlo con una macchina giusta e con tanto di muletto).
Infatti Moscato ebbe una delle prime Opel Kadett GTE che furono importate in Italia. Fu un anno di apprendistato molto prezioso, con la vettura strettamente di serie. In Italia ancora non si trovavano i pezzi per la preparazione in gr. 1. L’auto e il pilota crescono insieme ad Ivaldo Barbolini, come cresce l’amicizia tra loro al punto che erano quasi sempre insieme, dentro e fuori dalle corse, per quasi tutta la sua carriera. La preparazione delle vetture avviene nella cantina di Ivaldo, con mille avventure. I loro sforzi sono stati premiati da tanti successi ottenuti in giro per l’Italia.
A volte la passione lo induceva a fare strane cose, come ad esempio percorrere la via Giardini innevata da Serramazzoni a Modena con il freno a mano ‘costantemente’ tirato, per imparare a guidare la macchina in controsterzo; oppure guidare a piedi incrociati per abituarsi a frenare ‘di sinistro’. Dopo una serie di partecipazioni ai campionati italiani dal 1978 al 1982, inizia a seguire il campionato di zona e da quel momento il Kadett da gruppo 1, con al suo attivo già una cinquantina di gare, viene aggiornato in gruppo A. Tra gli eventi più importanti la finale del campionato del 1983 dove, giunto terzo, acquisisce la priorità internazionale; e nel 1984 affiancato dal navigatore Marcello Lotti, disputa la finale a Sassari giungendo secondo di campionato. Quest’ultima gara gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo del ‘pilota’: rinunciando a verificare il vincitore su una irregolarità determinante ai fini del risultato, pensa di fare un gesto nobile; il premio è la derisione del ‘graziato’. La delusione è talmente cocente che da questo momento Fabio cambia il suo modo di essere pilota, quando si va a correre si va per vincere. Terminata la gara tutti insieme a far baldoria. L’anno 1984 fu pieno di soddisfazioni: vinsero la zona con il grupppo A; in Italia fu l’unica zona a non essere dominata dalla Manta della Chieri Corse. Un episodio curioso è accaduto a Bologna: l’auto inizia ad andare a ‘tre’ già dalla prima prova speciale a causa di un buco in un pistone; il nostro equipaggio è già rassegnato all’abbandono, e quando sentono riavviarsi il motore non credono alle loro orecchie. Non si sa cos’abbiano escogitato quella volta Ivaldo Barbolini e Franco Goldoni, ma sono riusciti a far ripartire l’equipaggio modenese, poi giunto 1° di gruppo e 3° assoluto. Fabio ha fatto un trofeo di quel pistone che tutt’oggi arreda la sua tavernetta. Partecipano poi al Challenge FISA con tutti gli altri finalisti delle altre zone, arrivando primi. Vengono invitati a Monza dove ‘finiscono’ definitivamente la ormai “vissuta” Kadett, arrivando comunque secondi; la gloriosa GTE dopo oltre 100 gloriose gare viene buttata.
Nel 1985 passano alla Manta gr. A preparata magistralmente da Ivaldo. “Curatissima”, tiene a specificare Fabio, “sono sicuro che fosse la più bella Manta che girasse in Italia”. Si ripropongono per il Campionato Italiano, ma verso fine stagione pur avendo sempre vinto, contattato da Emilio Radaelli, passa alla squadra Audi. Invitato su una pista di autocross nelle vicinanze di Pavia a provare l’Audi 80 Quattro, si decide per la partecipazione al Rally di Mantova per vedere se c’è affiatamento. Fino a poche prove dalla fine è primo assoluto, quindi si decide di fargli terminare il campionato con il muletto di Bruno Bentivogli, pilota ufficiale Audi. In testa al campionato li vediamo al via del Valle d’Aosta: a 600 metri dalla fine del rally si piegano le valvole e addio campionato!
Il 1986 vede l’esordio assoluto dell’Audi 90 Coupé Quattro affidata all’equipaggio Moscato-Lotti per disputare ancora una volta il Campionato Italiano. Con l’auto arrivata direttamente dalla Germania, prendono il via al Costa Smeralda vincendo il gruppo A e piazzandosi settimi assoluti. Quegli anni di gare vengono ricordati da Fabio come fantastici, ricchi di esperienze meravigliose; gare con 40 P.S. da 40/50 km. l’una, seguiti dall’elicottero, gareggiando in mezzo a personaggi come Toivonen, Ericsson, Ragnotti, Recalde, Fiorio e Rayneri. Quell’anno al Sanremo vincono in diverse P.S. il gruppo A davanti anche ad alcuni dei più famosi professionisti e all’ultima tappa erano noni assoluti. Se glielo avessero detto qualche anno prima che sarebbe arrivato, un giorno, a fare colazione a fianco di Biasion non ci avrebbe creduto. Per cercare di vincere il titolo italiano partecipa al Piancavallo trascurando l’Halkidikis che gli avrebbe consentito, praticamente tagliando semplicemente il traguardo, di vincere il titolo europeo, giungendo invece così secondo sia nell’Italiano che nell’Europeo.
Quell’anno per i modenesi il campionato termina, con due gare in anticipo, a Messina. Si trovano ad affrontare una speciale nel fango con le slik. Non c’è spazio per un errore e quando arriva, nessuna possibilità di correzione, l’urto violentissimo fa incendiare la ‘90’ e solo la prontezza dell’equipaggio ad uscire dalla vettura impedisce la tragedia. A fine P.S. l’equipaggio modenese non transita. Il fumo dell’incendio che si propagava dava l’idea di quanto era successo. Prova sospesa. Momenti di panico, ma poi i ragazzi arrivano e tutto ritorna alla calma. Quest’episodio, l’arrivo del suo primo figlio, gli impegni di lavoro che coincidendo fatalmente, lo inducono ad abbandonare l’attività rallistica professionistica.
Lo vediamo successivamente disputare alcune gare con la Lancia Rally 037, con la Lancia Delta Integrale, con la Ford Sierra Cosworth due e quattro ruote motrici. Fabio corre dal 1976 al 1988 disputando circa 160 gare, navigato oltre che da Claudio Corrado e Marcello Lotti, anche da Lorenzo Rossi, Franco Ciambellini ed Achille Casolari. E’ un pilota che ama lo stretto, la discesa e il bagnato; odia il largo e il velocissimo. Un ricordo di gratitudine è per ‘Gigi’ Pantaleoni, che lo ha sgrossato nelle tecniche con consigli preziosi di guida e insegnandogli le traiettorie. Ancora tanti i ricordi delle avventure passate, come ad esempio a Sassari quando in P.S. improvvisamente si apre il cofano in pieno rettilineo rompendo il vetro. Si fermano, strappano via il cofano e ripartono. Più tardi puntellano con un legno il vetro dall’interno per far sì che non entri nell’abitacolo. Oppure le prime avventure con il furgone Fiat 238 che usavano per l’assistenza, con il pianale bucato. Raccontano Fabio e la moglie che in una delle loro ‘gite’ erano partiti con un certo numero di lattine d’olio motore e ad un certo punto ne erano rimaste solo alcune senza che nessuno le avesse utilizzate: le lattine mancanti erano state perse per strada attraverso i buchi del pianale! Un altro aneddoto curioso, sempre protagonista il famoso mezzo dell’assistenza: ad un certo punto mentre si stanno precipitando alle verifiche pre-gara, fondono le bronzine.
Sarebbe un problema per molti, ma non lo è per Ivaldo che ‘rifà’ le bronzine con dei ritagli di una lattina d’o­lio vuota, potendo così ripartire per concludere la missione. Erano i tempi in cui con gli amici si divertivano non solo a correre, ma anche a preparare la gara, a provare sia la macchina che i percorsi. Non c’era volta che qualcuno della combriccola non escogitasse qualche ragazzata. Alcuni hotel non li ospitavano neppure più a causa della loro ‘vivacità’. La sua compagna ha condiviso con lui queste avventure anche quando, a partecipazioni matrimoniali già stampate, rimandano la data del matrimonio per partecipare al Rally di Bologna e, durante il viaggio di nozze, anticipa il rientro per gareggiare al Rally del Conero, dove il navigatore Marcello Lotti gli fa trovare l’auto pronta e le note già prese, pronti per partire: arrivano secondi e vincono il Campionato.
La macchina più divertente per Fabio è stata senz’ombra di dubbio l’Opel Kadett. La gara che rifarebbe domattina? Tutte ma la più soddisfacente fu il Costa Smeralda nel 1986 con l’Audi.

 

Moscato-Lotti al Rally dell'Emilia 1987

Moscato-Lotti al Rally dell’Emilia 1987